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2/10
h 21 Consiglio Affari Economici
4/10
Festa di San Francesco, primo Venerdì del mese.
In chiesa Adorazione eucaristica.
In serata, dalle 17.30 alle 19 viene proposta, a conclusione del mese del creato, una camminata nel Parco Nord con alcune riflessioni sull’enciclica di papa Francesco Laudato si’. Il ritrovo sarà al capolinea del tram 4
5/10
DIALOGHI DI PACE
h 16 in Chiesa
Il messaggio di Papa Francesco rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Un dialogo con musica
11/10
Venerdì Pellegrinaggio in pullman all’Eremo di Santa Caterina del Sasso sul Lago Maggiore e alla Collegiata di Castione Olona. Iscrizioni in Segreteria.
13/10
CASTAGNATA a Colazza Alto Vergante (NO)
17/11
Inizio AVVENTO
18/11
Prossimo incontro CPP
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Gli anni più belli della nostra giovinezza
Stiamo parlando della seconda parte degli anni 70, e della prima parte degli anni 80.
Il pensiero degli anni trascorsi in Oratorio è, per molti di noi, un ricordo bellissimo.
Si usciva dalla Scuola (chi andava alla Scuola Elementare Lambruschini, chi invece alla Scuola Media Pavoni); il tempo di andare a casa a mangiare; per alcuni “anche” i compiti (che noia), ma il pensiero era per tutti l’orario di apertura dell’oratorio, le 15.30. Stare insieme, fare gruppo, amicizia e giocare per tutto il pomeriggio: questo ci interessava. Ci si ritrovava fuori dalla porta d’ingresso, in attesa che qualcuno aprisse.
Il nostro oratorio è stato un posto, come si direbbe oggi, di grande inclusione: al di la della provenienza c’era sempre posto per tutti, e tutti erano accolti per quello che erano. Che fosse lo sport, le attività di volontariato, il gruppo chierichetti, il coro… o anche solo lo stare in oratorio e basta. Per noi ragazzi il tempo in cortile, sul campo da calcio o alle porticine era un tempo lungo, la scuola finiva alla una e al pomeriggio non c’erano tutti gli impegni che hanno i ragazzi di oggi. Si scendeva in oratorio e c’era sempre qualcuno per giocare o anche per cazzeggiare, sulle panchine, fino all’ora di chiusura.
Per i fedelissimi fare tardi all’appuntamento voleva dire non essere i primi a giocare le mitiche partite alle porticine, (i campi di basket che si trovavano nella parte alta dell’Oratorio). Si, perchè negli anni d’oro ci si sfidava, e chi vinceva rimaneva dentro. Ogni pomeriggio c’erano 3-4 squadre in attesa di sfidare i vincitori. Sfide incredibili, queste partite di calcio 4 contro 4. Eravamo un clan di abituè: alcuni personaggi sono stati l’essenza stessa del “giocare alle porticine”: Membrini e Papeta tra tutti. Più grandi di noi, erano fedelissimi all’appuntamento, e giocavano con una voglia di vincere che non permetteva sconti. Quando capitavano in squadra insieme, era davvero dura.
Squadre consolidate (sempre i soliti) formavano avversari molto battaglieri. Ma attenzione alle entrate e ai falli di Papeta, un vero killer d’area di rigore.
Ci divertivamo davvero tanto, e tornavamo a casa la sera, dopo 3-4 ore di oratorio, completamente distrutti. Eravamo tanti (per dare un’idea nel 1978 le comunioni erano 105, le cresime 85) e pieni di gioia di vivere.
L’oratorio non era solo questo, certo. Era l’amicizia tra noi, scherzare e prenderci in giro, affibbiare soprannomi un po’ a tutti (Bobo, Momo, Gepi, Zio, Napolino, Michetta, Rosso, Cicabum, Chopper, Collovati, Peo, eccetera). Qualcuno veniva preso di mira (ne sa qualcosa Membrini), ma per la maggior parte era un "rito", un prendersi in giro reciproco, un modo di stare insieme, conoscersi, per poi diventare amici.
La Domenica pomeriggio l’appuntamento era al Cinema Parrocchiale, con quei film western che ci lasciavano senza parole. E durante l’intervallo al bar parrocchiale, dove comprare i dolcetti con la mancia ricevuta a casa.
C’erano rappresentate le più diverse classi sociali ma dentro l’oratorio eravamo tutti uguali. Tante amicizie sono nate lì, e anche qualche “cotta” (le prime).
Si respirava un’aria di vivacità incredibile, di cui abbiamo tutti nostalgia.
Giocare bene a calcio era un’ottimo modo di inserirsi. Le squadre dell’Oratorio erano guidate da personaggi anche qui “mitici”: Papino e Aurelio Morri tra tutti, oltre a Gilberto Franchini. Nel 1982 Gli Allievi Arcobaleno vincono il Campionato Provinciale 1981-82
Per poter parlare di cose serie, ed entrare un po’ più in profondità tra noi, il gruppo adolescenti e il gruppo giovani erano il posto ideale. Riunioni e incontri di preghiera erano la “costrizione” buona, che ci chiedeva di fermarci un attimo dalla nostra foga e vitalità irrefrenabile per riflettere. Anche questo creava “confidenza” tra noi. E poi la raccolta dei medicinali, della carta, il Teatro, gli Spettacoli, le Feste.
Un’altro ricordo bellissimo sono state le vacanze comunitarie, in particolare a Maggio (in Valsassina) e a Susà di Pergine. Dormire nelle camerate, mangiare e giocare insieme, fare a turno per le pulizie e il lavaggio dei piatti,… beh, in questo stare insieme si sprigionava tutta l'energia che avevamo dentro. Quanto ci siamo divertiti nel fare le scenette più assurde, preparate con cura, come il mitico “telegiornale” o il "Gazzettino della ValSugana".
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Chi fosse entrato nella Chiesa di San Giovanni Evangelista la mattina del giorno 28 maggio venendosi a trovare inaspettatamente in un cantiere dove andavano e venivano muratori, elettricisti, radiotecnici, marmisti, decoratori ecc… gli sarebbe stato spontaneo chiedere al primo operaio capitato a tiro: le spiace indicarmi dove si trova la nuova parrocchia che Mons. Montini deve consacrare stasera e domani?… Io, chissà cos’ho capito! mi ero persuaso che fosse questa!… Invece, nel giro di una giornata, quasi per un prodigio, che - in piccolo - ripeteva quell’altro che nel breve giro di un anno aveva fatto fiorire questa Chiesa piena di attività, sull’area tranquilla di prati e orti, a sera tutto era in ordine, pronto per il rito che l’avrebbe legata a Cristo. E davvero nella signorile povertà della sua linea e dei suoi particolari, sembrava l’ultima edizione della Gerusalemme Nuova, pronta come una sposa adorna dei suoi monili…
Il rito della consacrazione ebbe luogo in due tempi distinti: una parte preparatoria, celebrata dall’Arcivescovo la sera del 28 maggio; e la vera e propria consacrazione avvenuta la mattina del 29 maggio.
Lasciamo spazio alle autorevoli impressioni di un quotidiano milanese diffusissimo, pubblicate il 30 maggio 1958, che riportiamo per intero.
“Con la celebrazione della Santa Messa da parte di S.E. Mons. Montini, si sono concluse, ieri mattina, le cerimonie della consacrazione solenne della nuova chiesa dedicata a S. Giovanni Evangelista e alla Madonna di Pompei, sorta in via Lodovico Pavoni. Poco più di un anno è trascorso da quando, il 19 marzo dello scorso anno, Mons. Schiavini benedisse la prima pietra del nuovo tempio. Otto mesi dopo, nella chiesa ancora rustica, si celebrava la prima S. Messa, finché il primo maggio di questo anno il sacro edificio incominciò a funzionare regolarmente come casa di Dio, in attesa della consacrazione solenne, avvenuta appunto ieri mattina.
Il nuovo edificio sacro, dalle linee di gusto romanico modernizzato, i cui muri perimetrali racchiudono un vasto segmento (600 metri quadrati) a forma di pianeta, è lungo 35 metri e alto 11. L’aula sacra è preceduta da un largo atrio, piuttosto insolito nelle nostre chiese, ma estremamente funzionale con le porte semplici e imponenti. Il progettista, architetto Claudio Buttafava, attuando le linee programmatiche stabilite, ha realizzato una chiesa decorosa e funzionale, dove lo spirito si sente invitato alla preghiera. Ai lati della chiesa sorgono gli oratori maschile e femminile. Quest’ultimo include anche l’Asilo. Un complesso parrocchiale ultramoderno, armonizzante con la costruzione dell’Istituto Artigianelli dei Padri Pavoniani, che donarono generosamente il terreno e ai quali d’ora in poi sarà affidata la cura della nuova parrocchia.
L’imponenza dell’opera presenta degli impegni economici certamente gravi. A parte il costo del terreno donato dall’Istituto, la spesa viva complessiva è di duecento milioni. Un terzo di questo è a carico dell’Arcivescovo e del Comitato Nuove Chiese; due terzi restano a carico dei cuori generosi. “Chi può dia quanto può”. A questo slogan i Padri Pavoniani hanno affidato il compito di racimolare la somma necessaria per il completamento dell’opera. Che cosa c’era fino a ieri nella zona della nuova parrocchia? C’erano prati e orti; poi come per incanto, la zona si popolò di numerosi edifici, dando vita ad un vasto quartiere, costituto da famiglie convenute dalle più lontane regioni della penisola. Qui vivono diecimila anime con i loro sogni e con le loro speranze: per queste è sorta la chiesa.
Al termine delle cerimonie della consacrazione, ai fedeli che gremivano la chiesa. S.Ecc. Mons. Montini ha rivolto un vibrante discorso affermando anzitutto, che non avremmo un concetto esatto della religione se non comprendessimo il significato della consacrazione di una nuova chiesa. Consacrando una nuova chiesa, noi innalziamo ai nostri rapporti con Dio un edificio con atto pubblico e solenne. Egli poi rilevava che i nostri rapporti con Dio non sono completi, quando sono mantenuti soltanto nel segreto del cuore. Cade, pertanto, l’affermazione di coloro che vorrebbero fare della religione un affare privato. Non soltanto l’uomo, l’individuo ma tutta la società, come tale, dipende da Dio, ed ecco quindi la necessità che tutto il popolo partecipi con culto pubblico ad onorare Dio. Il destino dell’uomo non è soltanto in questo mondo, ma è al di là dei confini terreni, e noi, erigendo una chiesa, sospendiamo al cielo il nostro modo di vivere e di pensare.
“Guardate” - ha proseguito Montini - sopra questo panorama terreno, tutto rivolto a sfruttare questa terra, questo tempio obbliga tutti a sollevare lo sguardo al cielo: “Levate capita vestra Deo”. Allora sale la preghiera a Dio, l’uomo osa sfidare i cieli, osa venire a colloquio col Signore. “Siete venuti qui per sentirvi famiglia. Voi fondate una società che si chiama Parrocchia, la quale ha due caratteristiche: qui domina il senso della paternità, qui c’è qualcuno che vi deve voler bene, vi deve istruire, che vi deve amare. Io mando in mezzo a voi un sacerdote che si chiama Padre. A voi dico: fidatevi di lui; abbiate della parrocchia questo grande concetto. Voi, inoltre, formate una società fraterna, perché tutti siamo uguali davanti a Dio (L’Italia, 30 giugno 2018) “.
Chi l’ha sentito può dire quanto vibrasse di paternità sentita, ed, una volta tanto, felice, la voce del nostro arcivescovo parlando alla folla che letteralmente gremiva il nuovo tempio. Già alla mattina alle sette, un discreto numero di fedeli, che aveva fatto ala all’arrivo dell’Arcivescovo, era stato presente al solenne inizio della funzione. Man mano che i minuti passavano, il numero dei presenti si ingrossava, cosicché, alle 9, quando all’inizio della S. Messa dell’Arcivescovo (la prima S. Messa nella nuova chiesa consacrata) Egli si rivolge al popolo per pronunciare uno dei suoi concettosi discorsi, non c’era un angolino sia pure piccolo piccolo, che potesse lamentarsi di non essere stato occupato. Dall’Architetto, l’ingegnere, il costruttore, i direttori didattici, gli industriali, fino ai bambini delle scuole elementari nel loro grembiuli bianco, dinanzi agli occhi dell’Arcivescovo sembrava davvero che tutti formassero “una società fraterna”, una “nuova famiglia” di uomini, raccolta tutta nella “nuova casa di Dio”. Chi ha assistito allo spettacolo solenne di quel Rito, diretto quasi con arte magica dall’esperienza del Can. Borella e commentato dalla dolce preghiera del canto gregoriano dei chierici Pavoniani di tradite, ha impresso nella memoria qualcosa che non si cancellerà più.
Finché nella vitalità della Congregazione Pavoniani sbocciano prepotenti questi frutti, noi possiamo bene allargare il cuore: la benedizione di Dio è sopra le sue opere.